Il concorsista contemporaneo

«Puoi guadagnarti un posto fisso semplicemente con 40 domande a risposta multipla, ci pensi?»

Comincia più o meno così l’avventura del concorsista contemporaneo. Dopo anni di partita iva, precariato, contratti che scadono e non si rinnovano, arriva l’amico di turno che ti prospetta la vita da impiegato pubblico. E tu, improvvisamente, ti ritrovi Zalone in “Quo vado”: solo 40 domande ti dividono dal “posto fisso” che potrebbe dare una svolta alla tua vita. Presenti domanda e conosci un nuovo mondo.

Il concorsista contemporaneo si è evoluto: non è più un quattrocchi che passa le giornate sgobbando sul manuale prima dell’esame. Niente di tutto questo. Il concorsista di oggi è un misto tra un influencer, un social media manager, un informatico e un bambino al primo giorno di asilo. Le sue armi sono: i gruppi Facebook a cui si iscrive per tenere sotto controllo la situazione, i canali Telegram creati ad hoc, le pagine di chi crea manuali per ogni concorso, i video-corsi on line e, dulcis in fundo, eventualmente, le sintesi dei cari vecchi libri del concorsista “antico”.

Il mondo dei concorsi è una realtà parallela in cui accade di tutto e in cui puoi trovare tutti: dal diciottenne entusiasta del primo concorso pubblico da diplomato, al sessantenne cassintegrato finito per strada dopo il fallimento della sua azienda. Nel mezzo, ovviamente, metteteci di tutto.
Nel mondo parallelo dei concorsi c’è un’economia che si muove, e non parlo dei dieci a passa euro di tassa(?!) versati da ogni singolo candidato. C’è chi vende gli appunti e le sintesi (ma vi fidate?), chi propone B&b e alberghi nelle vicinanze delle sedi d’esame, idem per i ristoranti, e c’è pure chi organizza gli autobus (organizzazione che neppure ai concerti ho mai visto)

Scordatevi di trovare nei gruppi social domande e richieste di chiarimento sulle materie d’esame. La richiesta più frequente è: «Sono uscite le date?». Roba che se fossi commissario d’esame farei la prima selezione proprio così: monitorando i social e cacciando automaticamente dal concorso gli autori delle domande più stupide e inutili di persone che o non hanno letto neppure il bando o forse si scocciano finanche di cercarlo.

Alla fine, se ci pensate, i concorsi contemporanei – e il modo di approcciarsi alle selezioni da parte dei candidati – non sono altro che lo specchio della società contemporanea: tanto caos, tanta comunicazione e pochi contenuti.

Se il laureato in Chimica insegna Tecniche delle comunicazioni multimediali…

Ma voi un laureato in Chimica/Chimica Industriale/Fisica/Ingegneria Chimica che insegna “Linguaggio per la cinematografia e la televisione”, tanto per fare un esempio, ve lo immaginate?

Esistono. O meglio, non so se esistono nella realtà; ma la legge prevede che la classe di concorso denominata A61 “Tecnologie e tecniche delle comunicazioni multimediali” sia prerogativa anche dei laureati in materie scientifiche (laurea conseguita entro il 1994, sia chiaro).

E un laureato in Scienze della Comunicazione allora cosa va a insegnare? Ingegneria?

Premettiamo che non c’è alcuna intenzione di scatenare una guerra tra poveri: di questi tempi, con i chiari di luna che ci sono, sarebbe l’ultima delle intenzioni. Ma un paradosso tutto italiano merita un minimo di attenzione e meriterebbe di finire alla ribalta della cronaca, se non fosse che chi prova a far sentire la propria voce incontra difficoltà inenarrabili.

I laureati in Scienze della Comunicazione hanno la loro classe di concorso, direte voi. Sudata, esattamente come gli altri. Arrivata dopo anni per la prima volta nel 2017. Una materia per cui sulla carta non esistono abilitati ma solo concorrenti di terza fascia che spesso e volentieri non vengono proprio convocati per mancata attivazione delle classi.  Come gli altri, anche i laureati in Comunicazione proveranno ad accedere a un concorso per cui sono necessari anche i 24 cfu che, a botta di soldi e di business creato ad arte, ognuno di noi sta conquistando per accedere a quella che si preannuncia come l’ultima possibilità del posto fisso. Ma la classe di concorso A65 è per poche ore, per una ristrettissima cerchia di istituti professionali che hanno attiva la materia “Teoria della Comunicazione”. Poi ci sono altri insegnamenti, come quelli della A61 per cui è necessario – giusto, per carità – un diploma dell’Accademia di Belle Arti, del Liceo Artistico, di titoli professionali, di qualsiasi laurea a patto che ci siano i titoli professionali accanto e poi – come dicevo all’inizio – di quelle lauree scientifiche senza alcun titolo professionale. E perché non aggiungere a queste anche Scienze della Comunicazione? Cosa ha un laureato in Chimica del 1994 più di uno che ha studiato Scienze della Comunicazione? Forse perché nessuno sa cosa si studia effettivamente in questo corso di laurea? Forse perché Scienze della Comunicazione è da sempre la facoltà “pecora nera” del mondo universitario (quella che ha soppiantato nell’ambita graduatoria Scienze Politiche, per intenderci)?

C’è chiaramente qualcosa che non quadra e parecchie cose da rivedere. Ma, nell’immediato, perché non “allargare” ai laureati in Scienze della Comunicazione la classe A61?

Ps per i cattivi: evitate di pensare che ora i laureati in Comunicazione pensano alla scuola come ripiego. Il mondo è pieno anche di ingegneri votati al mondo della scuola per ripiego! 😀

Non si sfruttano i sogni delle persone

Ci sono poche cose che mi fanno arrabbiare. In cima alla lista ci sta chi organizza corsi a pagamento che sembrano promettere il posto dei sogni. Sullo stesso piano quelli che, con ignoranza o con scarse qualifiche, si ergono a ruolo di qualificati docenti tuttofare, magari perché hanno studiato all’università della vita (per loro stessa ammissione). E su Facebook le due categorie abbondano, grazie anche a pagine sponsorizzate. C’è un solo modo per fermarli: diffidarne!
Non si sfruttano i sogni delle persone!

Comunicazione e timidezza: adesso basta! ;)

Lo ammetto in partenza: la timidezza è sempre stato un grave handicap. Timida a scuola, con gli amici, in palestra, ovunque.

Poi arriva il momento in cui ti rendi conto che la timidezza – che potrebbe essere un pregio – è un difetto oggi. Perché ti fa nascondere quando non dovresti e perché, per esempio, ti fa aprire un blog senza una pagina Facebook. Che poi lo sappiamo tutti, comunicatori e non, che un sito senza una pagina social oggi non si avvia da nessuna parte.

Allora oggi ho preso il coraggio a trentamila mani e ho deciso che faccio il grande passo: apro la pagina Facebook del blog.

Eccola, fresca fresca: Comunicazione e dintorni

🙂

 

Il romanticismo della posta tradizionale

Ho scoperto, con mio grande stupore, che c’è ancora l’incaricato di Poste Italiane che periodicamente va a svuotare le cassette della posta, anche quelle che stanno negli angoli più sperduti delle città.

Ho incrociato stamattina il furgone dell’ufficio postale e sono rimasta a curiosare perché avevo capito che l’impiegato sarebbe andato ad aprire la buca della posta. E, sarò anche eccessivamente curiosa, ma volevo capire quante lettere c’erano dentro.

Due. Solo due lettere. In una buca che non so da quanto tempo non veniva svuotata. Due lettere, un paio di sacchetti di patatine vuoti, qualche fazzoletto sporco e altre cartacce. A un certo punto mi è venuto il dubbio che i giovani non sappiano più neanche a cosa serve una buca della posta (che poi, complici le nuove tecnologie, oggi confondiamo anche il nome: buca, cassetta, casella…). E mi sono trasformata in una vecchia comunicatrice nostalgica che si rilassa ricordando il tempo delle lettere, degli amici di penna e delle cartoline tradizionali inviate dai posti di vacanza!