Lo avevamo già annunciato (i principali organi di informazione e io qualche post fa): chiude la Cec-Pac. Per chi ancora non lo sapesse, la Cec-Pac era quel sistema di posta elettronica certificato creato ad hoc per consentire ai cittadini di dialogare con la pubblica amministrazione. Con la Cec-Pac, varata nel 2009, teoricamente sarebbe stato possibile far compiere un salto alle modalità di comunicazione tra cittadino e pubblica amministrazione: un salto dai manuali e libri che teorizzano tante belle cose alla realtà che avrebbe dovuto cancellare muri spesso invalicabili perché troppo burocratizzati. Quella idea, presentata oramai cinque anni fa come il progetto del secolo, si è sgonfiata. La Cec-Pac ci lascia. E lo fa anche con un messaggio che tutti noi – forse idealisti e sognatori – che avevamo immediatamente attivato la casella troviamo stiamo ricevendo via mail. Ci dicono che il sistema “migrerà” piano piano verso le “normali” caselle Pec. Quasi per dire: finora abbiamo scherzato, adesso attivate la Pec. Per chi non avesse ancora una casella Pec, sarà possibile crearne una nuova gratis per un anno; un piccolo sconto con cui – forse – vogliono scusarsi per un progetto conclusosi malamente e per i tanti soldi sprecati.
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#Paesedeglisprechi, Cec-Pac addio dopo neppure cinque anni
Addio alla Cec-Pac dopo neppure cinque anni. L’annuncio è arrivato dall’Agenzia per l’Italia Digitale: a partire da oggi non saranno più attivabili nuove caselle Cec-Pac (quelle che conosciamo con il dominio “postacertificata.gov.it”. Dal 18 marzo al 17 luglio, invece, le caselle già attive funzioneranno solo in modalità di ricezione e potranno essere consultate dagli utenti solo per consultare i messaggi ricevuti; dal 18 luglio in poi non si potrà neanche più ricevere la posta. La morte definitiva della Cec-Pac sarà datata 18 dicembre 2015.
Si chiude, dunque, un’epoca e un progetto che – stando ai dati diffusi dalla stessa Agenzia per l’Italia Digitale – non è mai veramente decollato.
Presentata come la soluzione a tanti problemi di comunicazione tra cittadini e pubblica amministrazione, la Cec-Pac ha fatto il suo esordio nel 2009 ma da alcuni fu subito definita un flop. Nonostante gli annunci trionfali di Brunetta, infatti, ci dicono i dati che le caselle erano utilizzate da poche persone con un esborso da parte dello stato di circa 19 milioni di euro. Un vero e proprio spreco, in poche parole.
Il numero di utenti che ha usato la Cec-Pac si aggira intorno a 1,2 milioni (contro i 6 milioni preannunciati nella fase di lancio); l’82% delle caselle attivate non sembrerebbero essere state mai utilizzate.
Ma chi aveva (e usava) la Cec-Pac adesso come farà? Il 18 marzo 2015 l’Agenzia per l’Italia Digitale fornirà una Pec gratuita agli utenti che avevano richiesto una Cec-Pac prima di oggi.
Con i tagli allo spreco della Cec-Pac, si guadagneranno soldi da investire in servizi annunciati con il piano di Crescita Digitale: il riferimento è a Italia Login, la “casa digitale” degli italiani. La speranza è che i nuovi progetti abbiano più fortuna della Cec-Pac.
e-government: siamo nella top 25
Mi sveglio e leggo con piacere una notizia Ansa: l’Italia è nella top 25 dei Paesi con il più alto sviluppo per l’e-government.
Per tutto il post farò finta di non sapere quante e quali difficoltà il cittadino comune incontra nell’interfacciarsi con la pubblica amministrazione. Per il momento fingerò di non ricordare quanto sia difficile, spesso, dialogare con chi ci governa anche in maniera tradizionale. No, questa volta non voglio che ci piangiamo addosso: vorrei semplicemente dare la notizia.
Il nostro Paese è uno dei migliori – rientra nei primi venticinque – tra quelli che offrono servizi per la partecipazione on line, aumentando l’uso di strumenti multimediali e dei social media. I dati interessanti, a mio avviso, sono proprio quelli relativi ai social media, con l’utilizzo che è aumentato del 50% in soli due anni (dal 2012 al 2014). Il balzo in classifica dell’Italia è importante: 9 posizioni scalate in un anno. Adesso siamo al ventitreesimo posto. Il sondaggio – va detto per dovere di cronaca – riassume i dati relativi a tutti gli Stati membri dell’ONU.
Bando per giornalista, vince chi costa meno
Questa mi mancava, lo ammetto. Nel mondo dell’informazione non pagata e sottopagata spunta pure una “gara di appalto” relativa al mondo degli addetti stampa. Una sorta di asta al ribasso per giornalisti. Prezzo massimo per 8 mesi: € 16.625,18 comprensivi di cassa di previdenza e iva. L’offerta più bassa sarà il requisito essenziale per l’affidamento dell’incarico.
Ecco la “geniale” idea: http://www.parcoappenninolucano.it/apl/multimedia/2371.pdf
Io dico: bloccate quel bando, facciamo qualcosa di esemplare. Un bando del genere potrebbe ispirarne altri. Il giornalismo e la comunicazione sono cose serie, non certo aste o gare d’appalto. Chi fa informazione – sia nei giornali che negli uffici stampa – lavora proprio come chi svolge qualsiasi altra professione. E come tale va pagato, senza aste al ribasso.
Questo bando rischia di scatenare una guerra tra poveri, tra giornalisti sottopagati, non pagati o mal pagati che – pur di mettere nel curriculum un’esperienza nel settore pubblico – potrebbero fare a gara per “svendere” la propria professionalità.
Apriamo gli occhi!
Intanto, sull’argomento, vi segnalo la presa di posizione dell’Assostampa Basilicata
Il 3,6% delle istituzioni pubbliche non ha ancora un sito web
Il 96,4% delle istituzioni ha un proprio sito web. Lo dice l’Istat. Il mio pensiero va a quel 3,6% di istituzioni pubbliche che un sito non ce l’ha.
I risultati del censimento 2011 sono stati resi noti nella giornata di ieri dall’agenzia TMNews e hanno evidenziato che delle 12.146 istituzioni pubbliche che hanno un accesso a internet, il 96,4% – pari a 11.715 unità – dispone di un proprio sito web.
Sarò anche ipercritica o forse pure rompiscatole o perfezionista, come mi dicono spesso. Ma io non riesco a smettere di pensare a quelle istituzioni che oggi, stando ai dati forniti dall’Istat, non hanno un accesso a internet oppure non hanno un sito web.
Per me è come se non esistessero. E forse non solo per me!
Badate bene, non è un paragone azzardato: oggi siamo nell’era della comunicazione digitale, il periodo in cui se sei offline è come se non esistessi… E come fanno le istituzioni a non ritagliarsi uno spazietto nel mare magnum del web? Come fanno a intrattenere rapporti con gli utenti senza essere on line?
Dal censimento Istat emerge, inoltre, che tra tutte le istituzioni censite solo il 40,1% dichiara di utilizzare un software open source. Tra quelle che ne fanno maggiore uso, ci sono le Regioni e oltre il 90% dei Comuni e delle Università italiane. L’indagine ha anche rilevato otto tipologie di strumenti informatici e le relative dotazioni in forza alle istituzioni pubbliche. Nelle amministrazioni centrali – dati alla mano – su 100 unità di personale effettivamente in servizio, 55 hanno in dotazione un Pc desktop mentre circa 8 dipendenti su 100 hanno un portatile. Il rapporto cambia per le amministrazioni territoriali: in media il 73% dei dipendenti è dotato di un Pc desktop e 8 dipendenti su 100 hanno un portatile.
Sull’argomento “comunicazione extra-istituzionale”, quasi tutte le istituzioni (99,5%) hanno dichiarato all’Istat di aver messo a disposizione canali e strumenti per facilitare la comunicazione con gli utenti. Lo strumento più diffuso sembra essere la posta elettronica ordinaria, seguito dalla posta elettronica certificata – che a mio avviso fatica ad affermarsi – e dal web.
Note dolenti – ma non sono ipercritica – per quello che riguarda la costituzione dello Sportello unico per le attività produttive (Suap) e lo Sportello unico dei servizi al Cittadino che consentono di semplificare i rapporti della Pa con le imprese e i cittadini. Le istituzioni locali che hanno dichiarato di essersi dotate del Suap sono il 51%; lo Sportello unico dei servizi al Cittadino, invece, risulta attivato dal 26,2%