59 anni fa il primo Carosello

3 febbraio 1957, alle 20.50 va in onda la prima puntata di Carosello. 

Sono trascorsi 59 anni e, senza scendere nei dettagli, mi piacerebbe solo ripostare il video della prima puntata pubblicato da La Stampa.  Si tratta di un vero e proprio spunto di riflessione su come sia cambiata anche la comunicazione pubblicitaria in quasi sessanta anni. 

Buona visione! 

Un blocco per chi blocca gli Ad?

ad-blockingSe utilizzi servizi di ad blocking non ti faccio leggere la posta.
Detta così, pare quasi un capriccio da ragazzini, una marachella di chi per dispetto reagisce in maniera spropositata alla decisione di qualcuno. Però è una cosa successa realmente: oggi è finita su quasi tutti i giornali e ieri anche Wired ha riportato la notizia, spiegando cos’è accaduto a un utente che ha letto uno strano messaggio quando ha tentato di accedere alla propria Yahoo mail.
La notizia è sinteticamente questa: Yahoo non fa leggere la posta a coloro che hanno attivi dei servizi di Ad blocking che, tradotto in soldoni, sono quelle app che bloccano le pubblicità (spesso odiose) che ingolfano la nostra navigazione on line. Ma Yahoo non è certo il solo a dichiarare guerra ai “bloccatori di pubblicità”. Pare ci abbia pensato anche il Washington Post.
Vuoi leggere la posta e informarti gratis? E allora beccati la pubblicità! Il messaggio sembra grosso modo questo.
Ma il problema – fatemelo dire – non è certo solo quello della posta elettronica.
La decisione di alcune aziende di bloccare la navigazione per coloro che usano Ad block evidenzia un grosso problema quanto mai attuale: se i contenuti on line sono gratis, chi paga? Dove sta il business? E, più che altro, come si sopravvive?
Parliamoci chiaro: secondo alcuni, i servizi di Ad blocking stanno minando una delle poche certezze della stampa on line oggi. Tutto gratis, tutto veloce, tutto sempre a portata di mano. Ma chi paga? La pubblicità. O almeno dovrebbe. Potrebbe pagare tramite gli spot e i banner maledetti da tutti i navigatori. Sì, proprio quegli odiosi banner che si sovrappongono alla schermata del pc appena cominci a leggere qualcosa. Potrebbero, dicevo. Parecchi usano sistemi per bloccare questo tipo di pubblicità. E allora? Ecco che si corre ai ripari: si bloccano i contenuti per chi blocca la pubblicità. Come in una sorta di ricatto (mi si passerà il parolone): se non sei disposto a vedere lo spot, io non ti faccio usufruire di determinati servizi. Una sorta di do ut des del web 3.0.
Ma una riflessione più seria ancora, io la farei sulla qualità della pubblicità che si blocca. Siamo sicuri che gli utenti blocchino la pubblicità perché la odiano? Se blocco gli spot è perché voglio leggere direttamente la posta o le notizie, certo. Ma siamo certi che la pubblicità abbia fatto tutto – e sottolineo tutto – per attrarre l’attenzione dei potenziali clienti? La sensazione comune – spero che qualcuno possa smentire ciò che scrivo – è che i cosiddetti Ad siano più invadenti che efficaci. E se la pubblicità cambiasse l’approccio con i clienti? Saremmo tutti in corsa per bloccare gli Ad? Ecco, porrei questa domanda con una certa insistenza. Non per trovare una risposta certa a tutti i problemi; ma quantomeno per una riflessione seria e concreta sul tema.
La questione è abbastanza controversa. Non si potrà certo risolvere con un post. In gioco ci sono gli editori, i clienti, i potenziali clienti, l’advertising e le esigenze di business. Perché, gira e gira, la questione è sempre la stessa, quella che i saggi campani sintetizzano egregiamente nel motto “senza rnar nun s cantn mess” (senza soldi non si cantano messe).

Giornali, lettere, infedeltà e… marketing!

Ultimamente ho poco tempo per lunghe riflessioni. Ma una breve ce l’ho da ieri e mi va di condividerla con quel paio di lettori iscritti al mio blog.
Avete seguito la storia del marito cornuto che compra una pagina di un quotidiano nazionale (Corriere della Sera) per dichiarare al mondo intero le sue corna? Bene.
Appena letta, si capisce che c’è qualcosa di strano: la storia non è vera.
Ma ve lo immaginate voi un uomo tradito che spende tutti questi soldi per:
a. gridare al mondo interno che la moglie lo tradisce
b. lasciarla dalle colonne di un quotidiano (e mettiamo che lei – come gran parte degli italiani oggi purtroppo – non lo legge?!)
Bene, come sospettato, oggi è arrivata la notizia ufficiale: la lettera è solo una geniale trovata di marketing per promuovere un nuovo programma di Real Time, “Alta infedeltà”. Il mistero è stato svelato dopo tantissime condivisioni on line e tra la sorpresa e lo stupore generale del popolo del web.
Nella lettera – pubblicata ieri sul Corriere della Sera -, tra le tante cose, vengono citati anche nomi di trasmissioni di successo di Real Time.
La missiva dell’amante tradito è diventata subito virale, condivisa a più non posso sui social media da gente curiosa e – perché no? – anche da qualche innamorato tradito che in quelle parole avrà trovato spazio per la vendetta che non era mai riuscita a servire al proprio ex partner (neanche su un piatto ghiacciato!) 🙂
In questa storia io intravedo soprattutto una idea geniale che, checché ne dicano i puristi del marketing o quelli con la puzza sotto il naso, è riuscita nell’intento: creare attenzione su un programma, muovere l’opinione pubblica, incuriosire il popolo del web, a proposito di un programma tv di cui si sa ancora molto poco. E che, per la cronaca, comincerà il 16 marzo.
Per amore della cronaca, vi faccio notare che anche agenzie di stampa nazionali sono cadute nel tranello, lanciando la notizia del marito tradito che si vendica su un quotidiano nazionale.
Tra l’altro, mi piacerebbe far notare che la pagina Facebook lanciata dal presunto amante tradito annovera oramai oltre 8.000 fan nel giro di poco tempo.
Io, ve lo confesso, mi sono incuriosita. E il 16 marzo darò anche io una sbirciatina ad “Alta Infedeltà”

Banner addio, verso il boom del native ad

Foto: blog.tagliaerbe.com

Native advertising al posto dei classici banner? La tendenza futura per la pubblicità on line potrebbe essere questa. Lo dimostra il fatto che oramai sono sempre più quelli che pian piano puntano sul native ad al posto della classica pubblicità invasiva on line. Lo sostiene anche un interessante articolo di Farhad Manjoo del New York Times, ripreso da L’Internazionale.
La pubblicità in versione native ad si integra appieno con il mezzo che lo veicola, con l’annesso pericolo di maggiore confusione tra messaggi sponsorizzati e non.
I banner – ricorda Manjoo nell’articolo – nacquero venti anni fa come risposta immediata alla necessità di dare spazio alla pubblicità on line. Oramai, però, sarebbero una soluzione obsoleta e abbastanza fastidiosa per gli utenti. Non a caso, i banner oggi sono venduti a poco prezzo e in grandi quantità. Un discorso, quello dei banner. che alimenterebbe il circolo vizioso della moltiplicazione esponenziale di siti alla perenne ricerca di click per scopi chiaramente pubblicitari.
La nuova frontiera della pubblicità on line, invece, pare essere diversa. Come? Pensiamo alle app di cui usufruiamo quotidianamente e ai contenuti sponsorizzati inseriti direttamente nei feed degli utenti (Instagram, Facebook…). Il futuro della pubblicità potrebbe proprio essere questo. Con non pochi pericoli in tema di differenziazione dei contenuti. Il discorso del cambiamento necessario dal punto di vista pubblicitario funziona; e per chi fa informazione, invece? Non c’è il rischio di una forte commistione di contenuti storicamente ed eticamente distinti? E se – come paventato in una tesi di laurea abbastanza recente assurta agli onori delle cronache di settore – i giornalisti finissero per piegarsi al native ad?
Sarà il tempo a dirci come andrà a finire. Intanto, prepariamoci a dire addio ai banner!

Torna il Winner Taco: vittoria dei social network?

winner_tacoIl possibile ritorno del Winner Taco nei freezer di bar e supermercati è stato accolto da tutti come la vittoria del popolo dei social media.
Il popolo di Facebook e Twitter ha da tempo invocato il ritorno di uno dei gelati più amati degli anni Novanta a suon di gruppi Facebook, pagine “Mi piace” e petizioni popolari rigorosamente on line.
Da qualche giorno la notizia del possibile ritorno del gelato amato da una generazione è apparsa su tutti i giornali. “Vincono i social”, “La vittoria dei social” – ho letto sui principali siti di informazione on line, mentre entusiasticamente si annunciava la presenza di un gigante Winner Taco a Ponte Milvio.
Non voglio entrare nella vicenda ma una riflessione proprio non riesco a trattenerla.
Ma avete idea di quanto ha guadagnato l’Algida con questa faccenda?
Oggi le aziende assumono persone solo ed esclusivamente per condurre le indagini di mercato; l’Algida, invece, per decidere di reimmettere il Winner Taco sul mercato non ha speso un euro. Inoltre, vi siete resi conto di quanta pubblicità gratuita si sta facendo in questi giorni a un’azienda e a un prodotto? Una vera e propria campagna virale “aggratis”.